Introduzione al protocollo IPv6

Qualche mese fa è circolata in rete la notizia che l’ultimo pacchetto di indirizzi IP è stato assegnato e si sono così esauriti gli indirizzi Internet disponibili. Non è stata una sorpresa in quanto già da tempo si era capito che con il crescere esponenziale della rete globale era questione di poco tempo prima di giungere alla conclusione degli indirizzi IP versione 4 (IPv4). Nell’ultimo decennio si sono quindi posate le basi per una nuova versione chiamata IPv6 che non offre solo un maggiore numero di indirizzi, ma ha un funzionamento radicalmente diverso rispetto alla precedente versione.

Mentre con l’IPv4 siamo abituati a distinguere tra indirizzi locali e pubblici e ci affanniamo con le configurazioni di eventuali NAT, l’IPv6 permetterà di presentare su rete Internet ciascun dispositivo (PC, smartphone, ecc.) con il proprio indirizzo pubblico.

COM’È FATTO L’IPV6

Mentre l’IPv4 è formato da 32 bit divisi in 4 ottetti (4 Byte) rappresentati ognuno con un valore decimale da 0 a 255, l’IPv6 ha una struttura a 128 bit che viene rappresentata con 32 caratteri esadecimali (servono 4 bit per esprimere un valore da 0 a 15). Questo porta la capacità di indirizzi da circa 4,3 miliardi a 3,4*1038 (34 seguito da 37 zeri, se preferite).

Al di là del mero aumento di indirizzi, che permetterà di assegnare un indirizzo univoco a ciascun dispositivo esistente, la struttura dell’IPv6 consente un netto miglioramento nella gestione delle tabelle di routing, grazie alla facile aggregazione e geolocalizzazione degli indirizzi. Inoltre l’IPv6 non contempla il broadcast, eliminando quindi gli attacchi basati su broadcast storms.

Un indirizzo IPv6 è dunque rappresentato con 32 caratteri esadecimali suddivisi in gruppi di 4 (16 bit) attraverso il simbolo “:”. In ciascun gruppo gli zeri non significativi possono essere omessi e gruppi consecutivi formati interamente da zeri possono essere abbreviati con la notazione “::”.